small states on un-certain stereotypes
intervista a Enrico Lunghi - Direttore di MUDAM, Musée d’Art Moderne Gran-Duc Jean luxembourg
(Al tempo dell’intervista Enrico Lunghi era Direttore artistico di Casino Luxembourg - Forum d’art contemporain)
Lussemburgo, Febbraio 2005
RITA CANAREZZA - Come è nata Manifesta 2 al Casino Luxembourg?
ENRICO LUNGHI - Manifesta è stata una storia molto lussemburghese. Il Casino non esisteva che da sei mesi, e noi abbiamo aperto nel marzo 1996 e Manifesta ha inaugurato nel luglio ‘96 a Rotterdam. Io sono andato a vederla con Bert Theis, e e al ritorno ci siamo detti che sarebbe stato bello organizzarla nel Lussemburgo. Mi sono informato con l’organizzazione di Manifesta, e non si sapeva ancora come continuare. Dopo molte discussioni nell’ottobre del 96 abbiamo proposto la nostra candidatura, e nel dicembre dello stesso anno l’organizzazione di Manifesta ha deciso che la seconda edizione, sarebbe stata qui. Noi esistevamo da pochi mesi, e non sapevamo se potevamo continuare e abbiamo fatto leva su tutte queste insicurezze, inoltre il fatto che la città di Lussemburgo era capitale della cultura europea, si sentì in dovere di sostenere questa manifestazione, per promuoverci e lasciarci andare avanti almeno fino al ’98. Come dire: “Facciamo almeno un progetto fino al ‘98 e poi si vedrà”. Adesso, invece, siamo molto stabili.
RC - Che sviluppo ha apportato il Centro nelle politiche culturali del Paese?
EL- La politica culturale lussemburghese, non era qualcosa di previsto, non deciso politicamente. Però, oggi penso che molti nel Lussemburgo sono coscienti di quanto il centro d’arte ha trasformato, poi il motivo di essere in un piccolo paese, trasforma più profondamente tutto il paesaggio culturale, ma anche la mentalità e l’apertura delle persone. Lo stesso centro in una grande città si perde nella massa d’informazione, mentre la particolarità del Casino è che ha un effetto reale sulla società lussemburghese e una delle mie preoccupazioni principali è che questo centro d’arte risponda a una situazione reale del Lussemburgo. Penso che non sia una buona idea cercare di copiare il Palais de Tokyo o il Deichtorhallen di Amburgo. No. Ognuno deve trovare la sua originalità e che risponda alla sua situazione reale. Noi non possiamo ignorare che siamo in un piccolo paese tra la Germania la Francia e il Belgio, che non c’è mai stato prima d’ora un centro per le arti, che non ci sono grandi collezioni, come ad esempio nel Liechtenstein dove c’era un Principe che l’ha raccolta, qui non avevamo un Principe cosi. Dunque, il contesto, la tradizione è anche la misura adottata per il centro d’arte, e se siamo riusciti a farci conoscere, è per aver condotto una strada che risponde a una situazione reale.
Con i successi ma anche con i non successi, ma questo non conta. (estratto dall’intervista)