intervista a Halldór Björn Runólfsson
Direttore della National Gallery of Iceland
Reykjavík, Augosto 2008
HALLDOR BJORN RUNOLFSSON - La Galleria Nazionale d’Islanda fu fondata nel 1884, fu un parlamentare che aveva vissuto in Danimarca a fondarla, perché sentiva la necessità di avere un museo d’arte come ce l’avevano i Danesi. Al tempo eravamo ancora una colonia danese e quindi c’erano buoni rapporti fra Islandesi ed esponenti della cultura islandese e gli artisti danesi quindi, molti di loro venivano e donavano le proprie opere alla neonata galleria. Purtroppo non si era mai parlato di costruire un edificio separato e quindi finì che i quadri vennero appesi nelle aule del Parlamento, ma poi abbiamo iniziato a raccoglierle e c’era sempre un po’ di denaro per l’acquisto di opere d’arte e quindi la gente cominciò a donare opere d’arte al museo. Abbiamo una storia artistica molto breve, nel senso che come molti Paesi protestanti, Paesi che divennero protestanti e furono costretti ad accettare il Protestantesimo nel 1550, non è un segreto, fu il re di Danimarca che ci costrinse, dopodiché la Chiesa che era stata il più grande acquirente di opere d’arte, questo finì e quindi in Islanda rimasero solamente artisti amatoriali, artigiani del metallo e persone che producevano indipendentemente arte, quindi abbiamo molta arte naïf di origine barocca, anche di origine rinascimentale, ma noi diciamo generalmente che fu solo intorno al 1900 che ritornammo all’arte professionale e che fu con la prima generazione di artisti islandesi che andarono in Danimarca per studiare all’accademia, ce n’erano sempre 1 o 2, abbiamo avuto 1, 2 o 3 maestri neoclassici, abbiamo sempre avuto alcune persone anche dalla tarda epoca barocca o rococò ma questi non possono essere considerati aver generato una grande comunità artistica. Quindi solamente dopo il 1900 l’Islanda si sviluppò nel campo artistico e i primi due artisti professionali, i primi artisti che si dedicavano completamente alle arti visive furono un pittore ed uno scultore ed erano nati solamente nel 1874 e 1876. Quindi è una storia breve. Naturalmente all’inizio la galleria era molto piccola e questo museo fu effettivamente aperto solamente nel 1951 come sede indipendente, prima eravamo una sezione del museo nazionale, eravamo all’ultimo piano di quel museo e fu in quel momento che fu costituita la Galleria Nazionale come luogo separato. Ma possiamo dire che i tempi erano veramente mutati e nel 1987 questo edificio fu ricostruito, la vecchia sezione che si trova vicino al lago è una vecchia casa di ghiaccio, era utilizzata per la refrigerazione del pesce raccolto nel lago ed era stata costruita nel 1920. Tra il 1987 e il 1988 ci fu data questa sezione che era stata costruita come prolungamento della vecchia sezione, ma era pensata come la prima di tre sezioni, quindi prevediamo altre 2 sezioni in futuro. Abbiamo avuto problemi con la casa perché è molto piccola.
Pier Paolo Coro - Questo museo, per quanto piccolo, segue le linee concettuali del nuovo museo di arte contemporanea. Come riuscite a combinare, per esempio, il modernismo e il contemporaneo in un’unica esposizione?
HBR- Il motivo per cui chiamiamo questo un piccolo museo è che non possiamo avere una collezione permanente in mostra insieme a esposizioni separate, quello che facciamo è concentrare l’esposizione della collezione nelle cosidette mostre estive e potete vedere una di queste mostre estive proprio adesso. Resta aperta dall’estate fino all’autunno e si ritiene che dia un’immagine adeguata dell’arte islandese dal 1900 al momento attuale, ma non possiamo avere una mostra permanente e quindi dobbiamo affidarci all’estate in questo caso.
RITA CANAREZZA - Quindi il museo è un’esposizione in movimento…
HBR- Specialmente d’estate, perché sappiamo che è il turista che vuole soprattutto vedere l’arte islandese, ciò non significa che gli Islandesi non amino la propria arte o che non la considerino adeguatamente ma piuttosto non hanno una grande opinione della mostra permanente e dicono che vorrebbero qualcos’altro, ma per il turismo e per l’estate è molto importante essere in grado di mostrare almeno una buona retrospettiva dell’arte islandese nel XX e nel XXI secolo.
RC- Abbiamo visto i forti sentimenti che gli artisti islandesi hanno con l’ambiente naturale e la presenza della natura. Che cosa ci può dire a riguardo?
HBR- L’arte islandese è in gran parte arte del paesaggio. Fin dall’inizio infatti, i primi artisti di professione che iniziarono veramente a dipingere facevano del paesaggio il loro punto di partenza. Ciò deriva forse dal fatto che allora l’Islanda era una comunità piccola e sparpagliata, non esistevano grandi città, Reykjavik era un paesino di 5 al massimo 10 mila abitanti, quindi il paesaggio era ovunque ed era la cosa che impressionava di più. Un altro aspetto importante è che il paesaggio islandese è totalmente differente dal paesaggio dell’Europa continentale, in particolare il paesaggio danese dove molti dei nostri primi artisti venivano formati perché andavano all’Accademia Reale a Copenhagen e quindi trovavano questa tremenda differenza fra un paesaggio boschivo o coltivato della Danimarca, e poi improvvisamente l’aspro e selvaggio paesaggio montagnoso dell’Islanda Dovevano attaccarlo, questo è quello che loro sentivano di dover veramente rendere, un nuovo modo di guardare al territorio. Credo che questo sia il motivo per cui con l’aiuto del post impressionismo francese, in particolare Cezanne, furono in grado di esprimere questo paesaggio aspro e duro. E a molti artisti della prima generazione piaceva andare nella natura selvaggia e rimanervi in tenda per una settimana e dipingere all’esterno. Ad esempio questo amatissimo artista … viveva proprio all’esterno, era un uomo enorme e molto vigoroso e viveva fuori nelle campagne e dipingeva. E fu forse il primo artista che indusse gli Islandesi ad amare la lava. Perché prima i contadini odiavano le zone laviche perché non potevano usarle, era terreno inutilizzabile, quindi fu lui che riuscì a far comprendere agli Islandesi la bellezza del loro Paese, gli Islandesi non capivano che il loro Paese era bello, pensavano fosse aspro e duro e piuttosto triste.
PPC- Ho visto in una libreria un catalogo di Parmeggiani? Avete avuto recentemente una mostra di questo artista italiano?
HBR- Abbiamo avuto recentemente, questa primavera proprio, una mostra collettiva di 3 artisti islandesi e 2 artisti esteri e uno di questi era Monica Bonvicini che ha creato una bellissima installazione.
PPC- Potrebbe spiegarci ulteriormente la questione del paesaggio?
HBR- Posso dire un’altra cosa. La mia prima mostra che ho curato qui in questo museo e questo era il 1993, molto prima che diventassi direttore dell’ente, c’è stata questa mostra soprattutto nordica ma anche artisti dall’estero. E poi ho avuto Giovanni Anselmo, ha fatto un’installazione in una delle nostre sale e poco prima avevo fatto una mostra in Finlandia su Michelangelo Pistoletto, conosco un po’ di arte italiana.
PPC- Non sapevamo molto, prima di venire qui in Islanda, di un artista veramente interessante per la nuova generazione artistica, si chiama Friðfinnsson.
HBR- Siamo buoni amici Helgi e io, infatti ha esposto alcune volte con artisti italiani, posso dire che quando ha iniziato ha introdotto in Islanda l’arte italiana della seconda generazione, fu uno dei primi a comprendere l’arte di Francesco Clemente, Enzo Cucchi.
PPC- Il suo lavoro è concettuale, minimalista … oggi molti giovani artisti stanno facendo quasi le stesse opere.
HBR- Forse stiamo parlando di due persone diverse. Lei forse si riferisce a Hreinn Friðfinnsson che ha fatto una mostra alla Serpentine Gallery, lui è un po’ più vecchio.
PPC - Sì, ma sempreverde, come Louise Bourgeois!
HBR - Guarda caso l’ho incontrato ieri, c’è stata una piccolo festa, lui vive in Olanda, credo ad Amsterdam adesso, e ha creato opere fantastiche, viene da questa generazione di artisti fluxus che allora erano in qualche modo influenzati soprattutto dall’arte povera e qui ha ragione, creando cose concettuali molto poetiche, quindi probabilmente lei si sta riferendo a lui.
PPC - Si, è lui.
HBR- Adesso è qui, potreste organizzare un incontro. Capita che i nostri artisti concettuali di questa generazione siano qui, c’è lui e un altro chiamato Kristján Guðmundsson utilizza sempre la pittura ma in maniera molto concettuale. Posso dire che ha iniziato assumendo una linea astratta e esercitandosi veramente su carta assorbente con l’inchiostro a tracciare una linea dritta e poi si è esercitato a fare quello che chiamava linee di un minuto e le limita a un A4, quindi ogni A4 ha 6 linee così può vedere che gli ci è voluto un’ora per fare esattamente un foglio e poi ha fatto un lavoro di 24 ore su 24 fogli con linee separate e poi ha fatto la notte più lunga d’Islanda che è il 21 dicembre su nel nord in 22 fogli di linee ma ha lasciato fuori un pezzettino dell’ultimo foglio e 2 fogli extra che mancavano e che erano l’unica luce quel giorno, così è assolutamente con Hreinn Friðfinnsson. Questi due sono sicuramente fra i nostri migliori artisti concettuali ed entrambi si sono formati in Olanda.
RC - Sarebbe bello vedere qualche opera. Dove possiamo andare qui in Islanda?
HBR - Io vi suggerirei di andare in una galleria a Reykjavik che è proprio qui vicino, si chiama I8. Sono i loro galleristi e lei farà di tutto per voi, vi mostrerà anche altri artisti e ha tutta la letteratura, tutti i libri e vi organizzerà l’intervista. Ci sono così tanti bravi artisti concettuali della seconda generazione, anche questi si sono formati ad Amsterdam. Finnbogi Pétursson che era alla mostra con Monica Bonvicini e che cosa hanno esposto, hanno esposto una candela su un piedistallo con fiamma e lenti di ingrandimento, grandi lenti di ingrandimento, ai lati del pavimento e si otteneva il riflesso della candela all’inverso sui muri in una camera buia, era un lavoro meraviglioso per un uomo conosciuto soprattutto come audio artista, è soprattutto un audio artista. Ora dice sono alla ricerca di un altro genere di onde, la fiamma e le onde della luce.
PPC - Qual è secondo lei la reazione degli artisti islandesi verso il movimento dell’arte povera?
HBR - Le posso dire che c’è stata. Una particolarità dell’Islanda è che ci sono sempre stati conflitti generazionali molto forti, in riferimento all’Italia ad esempio la generazione astratta nel 1955 fu invitata a Roma per una grande, grandissima esposizione d’arte contemporanea nordica. E ne venne fuori uno scandalo in Islanda, perché la generazione precedente si era sentita lasciata da parte e anche loro volevano partecipare, quindi ci fu una grande polemica riguardo a quella che era chiamata la mostra di Roma e ci fu addirittura un tentativo di comprare alcuni artisti dandogli dei soldi perché accettassero la generazione precedente ma loro rimasero fermi nei loro principi. E questa era la generazione astratta. Ma nel 1965 cioè quando ci fu una totale inversione dall’arte formalistica astratta verso qualcosa di totalmente nuovo e questo si riferiva in particolare all’arrivo dell’artista svizzero/tedesco Dieter Roth nel 1957 al seguito di una donna islandese che aveva sposato e visse qui stabilmente fino al 1964 e poi venne sempre una volta all’anno per tutto il resto della sua vita. Dieter Roth fu un artista molto influente.
PPC - Un’altra domanda. Negli anni ’80 il successo internazionale della Transavanguardia determinò anche il successo commerciale dell’Arte Povera. Qual è la sua opinione a riguardo?
HBR - Ripartendo da dove ci eravamo fermati penso che il 1965 sia stato un anno decisivo, ci fu una mostra intitolata SUM, con un piccolo gruppo di artisti, fra i quali Tryggvi Ólafsson, che fece un’opera veramente notevole, era una porta sfondata e lui aveva cercato di ripararla con il rosso, il giallo e il blu come un addio all’astrazione geometrica tipo Mondrian, e c’era anche l’artista Arnar Herbertsson, un artista del metallo bravissimo che faceva sculture che potevano essere modificate, il pubblico poteva venire e prenderne una parte e spostarla in un altro posto e così via, seguiva Tinguely che fu il suo grande maestro. E così divenne un movimento all’incirca nello stesso periodo in cui si formava l’arte povera con Germano Celant. Successivamente aprirono una galleria e così diventarono un pilastro di quella che possiamo chiamare l’arte contemporanea islandese e sempre in stretto rapporto con Dieters Roth che era questo artista internazionale che in tanti conoscono. Questi era buon amico di Daniel Spoerri, Richard Hammilton, Joseph Beuys e così veniva in Islanda portando sempre notizie fresche su quanto stava avvenendo in Europa. Bisogna ricordare che avevamo buoni contatti con la Danimarca e fu tramite la Danimarca che l’arte povera fu conosciuta nel nord, basta dire che Piero Manzoni era venuto in Danimarca per tenere dei seminari come Socle du monde che è ancora lì nel giardino delle sculture a Herning in Danimarca, rese così facile per gli artisti nordici vedere l’arte povera ai suoi inizi, sebbene Manzoni non è forse un esponente tipico dell’arte povera, è un precursore, diciamo così. E poi attraverso una galleria che era in rapporti con un certo artista danese tedesco Adi Kopke questi riusci a far esibire gli artisti dell’arte povera a Copenhagen così ci fu una fusione dell’arte povera e delle altre tendenze presenti negli anni ’60. Ma ciò che accadde in Islanda fu che improvvisamente ci fu un nuovo legame direttamente con l’Olanda, un artista in particolare Kristjan Gudmundsson, fratello di Sigurdur Gudmundsson, andò a vivere in Olanda e scoprì che lo Stato olandese prevedeva contributi per i suoi artisti, quindi molti artisti concettuali islandesi poveri andarono in Olanda, vi si stabilirono e iniziarono a lavorare. E sono là ancora oggi. Stanno crescendo là e questo ha creato forti legami fra questi due piccoli Paesi. Naturalmente l’Olanda non è piccola, hanno un grande establishment, una vasta popolazione ma il Paese è piccolo e quindi per almeno due generazioni ci furono artisti islandesi che continuavano ad andare in Olanda. Si è assistito ad un crescente legame anche con l’Italia e gli altri Paesi europei, perché una delle cose rilevanti e da non dimenticare è che gli artisti islandesi, per il fatto che noi non abbiamo un istituto che possa rispondere alle richieste di tutti gli studenti, quindi per la maggior parte qui da noi finiscono la scuola e poi fanno domanda a di ammissione ad istituti esteri e di conseguenza si ritrovano ad andare in tutto il mondo. Adesso gli artisti islandesi fanno domanda di ammissione a scuole negli Stati Uniti, in Germania, in Danimarca, in Italia e a Vienna. Quindi si crea una situazione vivace perché la maggior parte di loro torna in Islanda, non so perché ma tornano e portano il loro bagaglio di conoscenze da tutte le parti del mondo.
PPC - Siamo stati all’ultima Manifesta in Alto Adige e Sud Tirolo, l’Islanda era rappresentata da ben tre artisti.
HBR - Sì. Erano molto dotati questi tre artisti. E per un Islandese è stata una grande sorpresa che Manifesta si tenesse là, perché pensavano ah non sapevamo nemmeno bene di questa regione, tipo Bolzano. Poteva davvero essere chissaddove. E hanno questa enorme collezione di artisti futuristi.